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Sake – la bevanda giapponese che unisce tradizione, tecnica e nuova mixology

Il sake è una delle bevande più antiche e affascinanti del Giappone.
Nato da secoli di tradizione, è oggi sempre più presente anche nei cocktail bar occidentali, dove mixologist e bartender lo utilizzano come ingrediente versatile e raffinato.
Spesso definito impropriamente “vino di riso”, in realtà il sake è una bevanda fermentata a base di riso, il cui processo di produzione ricorda più quello della birra che del vino.

Le origini del sake

Le prime tracce di produzione di sake risalgono a oltre duemila anni fa, in epoca antichissima.
Nel corso dei secoli, il sake è diventato parte integrante della cultura e della spiritualità giapponese, servito nei templi shintoisti e durante cerimonie, matrimoni e feste tradizionali.

Il cuore della sua produzione è la fermentazione multipla del riso:

  • gli amidi del riso vengono prima trasformati in zuccheri grazie all’azione del Koji (Aspergillus oryzae),
  • successivamente gli zuccheri vengono fermentati in alcol dai lieviti selezionati (Kobo).

Questo processo unico — chiamato heiko fuku hatsu — è ciò che conferisce al sake il suo profilo aromatico complesso, elegante e distintivo.

Le principali tipologie di sake

Le categorie di sake si distinguono per il grado di raffinazione del chicco di riso e per le tecniche di produzione.
Ecco le principali:

  • Junmai – “puro”, prodotto solo con riso, acqua, lieviti e Koji, senza aggiunta di alcol.
  • Honjozo – con una piccola aggiunta di alcol per esaltare gli aromi.
  • Ginjo – più profumato e fruttato, ottenuto da riso con almeno il 40% del chicco lucidato.
  • Daiginjo – la categoria più pregiata, con lucidatura superiore al 50%, aromi complessi e texture setosa.
  • Nigori – sake non filtrato, di aspetto lattiginoso e gusto morbido e cremoso.

Ogni tipologia racconta una sfumatura diversa della cultura giapponese, dal sake quotidiano a quello cerimoniale.

Il sake nella mixology contemporanea

Negli ultimi anni il sake ha conquistato anche la scena della mixology moderna.
Il suo profilo delicato e bilanciato lo rende ideale per cocktail leggeri, aromatici e raffinati.

Può essere utilizzato:

  • come base principale per cocktail low-alcohol,
  • come sostituto del vermouth o del vino bianco,
  • o come ingrediente aromatico accanto a distillati più strutturati come gin o vodka.

Alcuni esempi contemporanei:

  • Sake Martini – una versione elegante del Dry Martini, con sake al posto del vermouth.
  • Tokyo Mule – twist orientale del Moscow Mule, con sake e zenzero fresco.
  • Umami Sour – reinterpretazione del Whiskey Sour con sake e agrumi giapponesi.

La sua bassa gradazione alcolica e la purezza del gusto lo rendono perfetto per la nuova generazione di cocktail sostenibili e consapevoli.

L’arte del servizio

In Giappone, il sake non è solo una bevanda, ma un rito di ospitalità.
Viene servito in piccole tazze di ceramica (ochoko) o in calici moderni, e può essere gustato freddo (reishu), a temperatura ambiente (joon) o caldo (atsukan), in base alla tipologia e alla stagione.
Nel servizio professionale contemporaneo, i bartender tendono a privilegiare il sake freddo, per preservarne la fragranza e gli aromi fruttati.

Curiosità

  • La parola sake (酒) in giapponese indica genericamente qualsiasi bevanda alcolica. Quella specifica che noi chiamiamo sake è in realtà nihonshu (日本酒), cioè “alcol giapponese”.
  • Il sake è naturalmente senza glutine e privo di solfiti, quindi apprezzato anche da chi cerca bevande più leggere e pulite.
  • I migliori produttori artigianali (sakagura) considerano il sake non un semplice prodotto, ma un equilibrio perfetto tra riso, acqua e tempo.
Il sake rappresenta un ponte culturale tra Oriente e Occidente: una bevanda millenaria che oggi trova spazio nella mixology d’autore e nella cultura del bere consapevole.
Conoscere il sake significa comprendere il valore della pazienza, della tecnica e del rispetto per la materia prima — elementi che ogni bartender dovrebbe portare anche nel proprio lavoro.
Il futuro del bar guarda avanti, ma può ancora imparare molto da ciò che in Giappone esiste da oltre duemila anni.

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